Un ghiro per amico

Questa è la storia di Freddy, un giovane ghiro con personalità e comportamenti tipici della sua specie: roditore notturno perennemente affamato, eccellente e iperattivo arrampicatore, pensionante abusivo e grandissimo ficcanaso. Con una spiccata vocazione a cacciarsi nei guai. Quando lo abbiamo trovato era intrappolato da diversi giorni senza cibo né acqua nel caminetto a chiusura stagna di un nostro vicino. Insieme a un collega di scorrerie si era calato dentro casa dal tetto, infilandosi nel comignolo e poi giù lungo la canna fumaria, probabilmente in cerca di una tana da attrezzare per l’inverno. I ghiri passano i mesi freddi in un torpore simile a un letargo, per sopravvivere hanno bisogno di calore e abbondanti scorte di cibo (chiedetelo ai nostri noccioli) e quindi, in primo luogo, di un rifugio asciutto e sicuro. Cosa che coincide spesso, guarda caso, con i sottotetti di ruderi e case disabitate. E pure di quelle abitate: chiedetelo alla nostra soffitta.

Insomma, quando abbiamo aperto lo sportello di vetro che teneva chiuso il caminetto, dopo che il vicino ci aveva interpellati in qualità di massimi esperti locali sul tema (onere guadagnato sul campo praticando a casa nostra, per un anno intero, una resistenza impacciata e rigorosamente non violenta contro un’agguerrita colonia) ci siamo trovati davanti questa scena: un ghiro giaceva morto a terra, il pelo arruffato e gli occhi chiusi in una smorfia di sofferenza; l’altro, vivo e vegeto e terrorizzato dalla nostra comparsa, cercava disperatamente di arrampicarsi sulla parete di fondo, precipitando giù non appena le pareti del piccolo vano iniziavano a stringere verso il foro della cappa. Doveva averci provato chissà quante volte durante le lunghe ore passate lì dentro, ma né la disperazione, né le sue straordinarie doti di scalatore potevano nulla contro pareti così strapiombanti.

Aiutarlo è stato facile. Indossati due paia di guanti per evitare guai (il morso di un ghiro non ti stacca un dito ma poco ci manca), abbiamo preso un secchio di plastica e come Spider Man si è lanciato sulla parete abbiamo sporto il recipiente nel camino, sperando di indovinare il punto dell’imminente caduta. Con il risultato che può conseguire solo un navigato “accalappiaghiri”: centro al primo colpo. Prima che sgusciasse in giro per casa siamo corsi fuori e lo abbiamo liberato, per la gioia del nostro vicino, anche lui finalmente libero di accendere il camino dopo aver patito il freddo per giorni. Restava ancora una cosa da fare, disfarsi del corpicino senza vita dello sfortunato che aveva mollato troppo presto. Solo che, mentre lo prendevamo in mano, abbiamo notato un lieve, impercettibile sussulto: il piccoletto non aveva affatto mollato.

E dunque, se non aveva desistito lui, potevamo farlo noi? Nonostante le condizioni apparissero disperate, per non dire evidentemente compromesse, lo abbiamo portato a casa con noi. Come prima cosa abbiamo cercato di farlo bere e di scaldarlo con le mani: in situazioni di questo tipo sono il freddo e la disidratazione le prime cause di morte. Con una siringa senza ago gli abbiamo pompato qualche goccia d’acqua direttamente in gola, tenendolo in posizione prona per evitare che il liquido penetrasse nei polmoni provocando gravi patologie (queste sono cose che si imparano dal veterinario, quando ti presenti in ambulatorio con una scatola piena di creature minuscole e in fin di vita – ma questa è una storia che vi racconteremo un’altra volta). Tutto il corpo ha iniziato a tremare, scosso da brividi che non riuscivamo a interpretare: buon segno oppure no? Dopo qualche ora al caldo e diverse poppate di latte in polvere, il nostro malandato paziente dava finalmente segnali di ripresa, anche se la situazione appariva ancora critica e incerta.

Ci sono volute altre cure e quasi trentasei ore di attesa, prima di sciogliere la prognosi e compiere un gesto che, con uno slancio di ottimismo, sancisse formalmente lo scampato pericolo: dare a quell’esserino un nome. La sera del secondo giorno, contro ogni aspettativa Freddy era così vispo che faticavamo a tenerlo in mano. Si nutriva ormai in modo autonomo divorando con gusto le mele e le noci che gli fornivamo e scalpitava per uscire dalla scatola in cui era rinchiuso. C’era da prendere una seconda, importante decisione, ma non era semplice perché il rischio di sbagliare era molto alto: liberarlo troppo presto poteva significare esporlo a situazioni letali per un individuo già fortemente debilitato; tenerlo ancora in cattività, d’altra parte, poteva procurargli uno stress capace comunque di ucciderlo. Com’è nel nostro stile, abbiamo pensato a una prudente via di mezzo.

Calato il buio abbiamo portato la scatola all’esterno, posizionandola sotto un nocciolo e lasciando aperto uno spiraglio sufficiente per un ghiro ma abbastanza stretto da tener fuori eventuali predatori: restare o andarsene, a Freddy la scelta. Pochi minuti dopo lo abbiamo visto tirar fuori la testa, guardarsi intorno, tornare dentro, poi sbucare ancora, trovare il coraggio per uscire e sparire nella notte senza nemmeno un cenno di saluto. A quel punto, prima di andare a dormire, non ci è rimasta che una cosa da fare: posizionare la fototrappola e lasciare tutto com’era. La mattina successiva, appena svegli, siamo andati a vedere. La camera aveva registrato una serie di video agli infrarossi che testimoniavano la frenetica attività notturna del nostro amico, su e giù per il fusto del nocciolo, dentro e fuori la scatola. Senza che fosse chiaro quale fosse stata la decisione finale. Per scoprirlo, abbiamo aperto la scatola. Tutto il cibo era stato divorato, i giornali e i pezzi di stoffa ordinatamente ammucchiati in un angolo. E Freddy era ancora lì, che dormiva appallottolato come un criceto.

Troppo comoda la suite che gli avevamo allestito? O troppo scarse, ormai, le sue possibilità di procurarsi una tana alternativa e cibo a sufficienza? Nel dubbio, abbiamo spostato la scatola in un luogo riparato, riempiendola di foglie, carta di giornale e ulteriori scorte alimentari, con l’idea di continuare a monitorarlo e supportarlo, se necessario, per tutto l’inverno. Da allora sono passate tre notti, che ci hanno fornito un quadro confuso e frenetico come il nostro piccolo amico. Al termine della prima nottata, dopo un concitato via vai esplorativo in compagnia di due focosi pipistrelli, Freddy non è rientrato alla base. È ricomparso la notte successiva, facendo subito cadere la fototrappola e impedendoci quindi di acquisire informazioni, e la terza notte era di nuovo lì, più agitato e iperattivo che mai.

Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Freddy ci sembra oramai in ottime condizioni, perfettamente in grado di affrontare i pericoli del suo ambiente naturale e, con un piccolo appoggio da parte nostra, di superare il lungo inverno che non tarderà ad arrivare. In generale preferiamo, per quanto possibile, non alterare il naturale svolgersi degli eventi intervenendo per aiutare i selvatici in difficoltà, ma in questo caso ci sembra corretto fornire un sostegno, visto che i danni subiti da Freddy sono, seppur involontariamente, di origine antropica. Questo dice il buon senso: se l’uomo crea un danno, l’uomo può cercare di rimediare. Un piccolo aiuto e, per il resto, che la natura faccia il suo corso.

Buona fortuna Freddy, ricordarti di lasciar stare i comignoli e… guai a te se provi a metter piede nel nostro solaio!

Contatti / alritmodellestagioni@gmail.com