Cronache semiserie dal nubifragio

Mai vista tanta acqua tutta insieme. E non quella che veniva giù a secchiate, ma quella che saliva su. Dalla cantina.

Il pozzetto, un buco profondo mezzo metro scavato nel pavimento del seminterrato, ha iniziato a riempirsi verso le dieci di ieri sera, dopo ore di piogge ininterrotte. E fin qui nulla da eccepire, visto che lo scopo di un pozzo è proprio questo: far confluire le infiltrazioni in un unico punto, così da poter tirar via l’acqua con una pompa prima che la casa diventi una palude. La pompa è già lì, posizionata nel modo giusto e pronta a fare il suo dovere. Basta accenderla. Suona tutto troppo facile, e infatti la fregatura è dietro l’angolo: la pompa non si accende. La sua performance consiste in una sonora pernacchia, poi il nulla.

Disperazione, ma fino a un certo punto: c’è la pompa di riserva, una piccola idrovora a immersione che quel santo di mio padre ci ha portato qualche settimana fa. Decido saggiamente di provarla prima di perder tempo a infilare il tubo di scarico nell’apposito sfiatatoio, e scopro così che funziona quando con la potenza di un idrante inizia a sputarmi in faccia un getto di acqua fredda e marrone. Alessia la prende a ridere, io un po’ meno, comunque non c’è dubbio: la pompa va alla grande. Ora si tratta solo di staccare il tubo di scarico dall’altra e attaccarlo a questa. Facile, no?

Proviamo a tirare la canna di gomma con le mani, con le pinze, con i denti, ma è scivolosa e si tiene aggrappata al manicotto come un koala al suo eucalipto preferito. Non si muove di un millimetro. L’acqua intorno continua a salire, il pozzetto è ormai completamente sommerso e il pavimento pare il bagnasciuga di Mont Saint-Michel. Tutto quello che teniamo in cantina è poggiato sui pallet, quindi relativamente al sicuro. Almeno per altri dieci centimetri. Il koala non vuole sentire ragioni, e visto che non c’è più tempo per la diplomazia prendiamo un seghetto e lo decapitiamo senza pietà. Sayonara, baby. Col tubo tranciato in una mano e il seghetto nell’altra, gli stivali che sciacquettano tipo risaia, la faccia sporca di fango e il fascio di luce della frontale che schizza da una pozza all’altra come il puntatore di un fucile d’assalto, mi avvicino alla pompa con lo sguardo di uno che non ha voglia di essere contraddetto. Per tutta risposta quella mi fa un gestaccio tirando su un gigantesco dito medio, vale a dire un raccordo decisamente troppo grande per essere abbracciato dal mio tubo-koala.

All’arroganza si risponde con l’astuzia, così svestiamo i panni dei Vietcong e indossiamo quelli di MacGyver, rispolverando alcune fondamentali competenze di tuttologia applicata acquisite guardando Italia Uno da ragazzini. Con la potente fiamma di un accendino termonucleare a reazione (un comunissimo bic) scaldiamo l’estremità del tubo per sciogliere la gomma fino a renderla malleabile, e a quel punto è un gioco da ragazzi infilarla nel condotto (in realtà ci sono volute anche tante imprecazioni e una fascetta professionale). Tronfi del successo tiriamo il galleggiante su e giù come uno yo-yo, finché la pompa non si mette in moto e con una serie di gorgoglii inizia a succhiare con regolarità. Ci lanciamo un’occhiata apprensiva e sospiriamo sollevati quando vediamo che il livello di melma scende a vista d’occhio.

Il sollievo tuttavia dura poco, perché notiamo subito un problema: il pozzetto si sta riempiendo di sabbia. Manco a dirlo se ne accorge anche la pompa, attacca a tossire e dopo alcuni lamenti esagerati si blocca. Nel tentativo di filtrare l’acqua che cola nel pozzo tappiamo con degli stracci i fori di riempimento, e riusciamo più facilmente del previsto ad arginare lo sversamento di materiale terroso. Ma il danno è bell’e fatto: la sabbia che si è accumulata nel pozzo è quella su cui poggiano le mattonelle tutt’intorno, e le mattonelle sono quelle su cui poggiamo noi! In un attimo, il pavimento inizia letteralmente a franarci sotto i piedi. Evito di finire a mollo con un virtuosismo da equilibrista, con la coda dell’occhio vedo Alessia che ondeggia come un’odalisca e inizio a chiedermi se la situazione non ci stia sfuggendo di mano. La risposta a questa domanda arriva un attimo dopo, quando mi ritrovo infilato nel pozzo a tirar via sabbia con il pentolino della minestra.

L’acqua intanto viene giù che è una bellezza, scavando rapide nella sabbia dove una volta c’erano delle mattonelle, per poi precipitare nel pozzo con un effetto cascata particolarmente scenico. Se ci fosse un po’ più di spazio si potrebbe valutare una discesa in kayak, invece ci tocca litigare con la pompa che aspira a singhiozzo, ma se non altro ci tiene ancora a galla, nel vero senso della parola. Quando riusciamo a ripristinare l’ordine e rimettere la pompa in funzione in modo stabile sono le quattro di notte, e ci vogliono altre due ore per posizionare tutto l’armamentario in modo da far azionare il galleggiante in modo automatico. Fino alle sette restiamo di guardia a osservare il ciclo ipnotico del galleggiante che sale, la pompa che parte, il galleggiante che scende, la pompa che si ferma, sempre con l’ansia che al prossimo giro possa verificarsi un intoppo.

Stremati ci concediamo un paio d’ore di sonno, ma alle nove siamo in piedi e ci fiondiamo alle finestre. Piove ancora. Col cuore in gola ci precipitiamo in cantina… e troviamo tutto come l’avevamo lasciato: torrenti d’acqua che defluiscono nel pozzo, il livello dell’acqua che sale a una velocità impressionante e la piccola pompa mezza sommersa, guerriera coraggiosa, che sussulta tutta inorgoglita e risputa fuori la marea. Vorrei abbracciarla, la nostra salvezza!

Quando mettiamo il naso fuori scopriamo che il cortile è diventato un pantano. Laghetti sospetti si sono formati dove i doccioni, ai quattro angoli della casa, buttano giù dal tetto torrenti d’acqua: fosse questo il problema? Sarà che l’acqua di queste pozze, impregnando il terreno, finisce per allagarci lo scantinato? Neanche il tempo di fare colazione e ci ritroviamo zuppi sotto la pioggia, a sgobbare nel fango con pala e piccone, tracciando solchi e scavando fossi intenzionati ad aprire un canale di scolo fino al mare, se dovesse servire. La bonifica va avanti per tutta la mattina, ma alla fine ci guardiamo intorno soddisfatti ad ammirare un’opera di canalizzazione di tutto rispetto. Dove non è possibile scavare, poveri di competenze ma con indomabile spirito creativo ci tuffiamo a testa bassa nell’arcano mondo dell’ingegneria idraulica, utilizzando alla buona tegole, tubi e pezzi di vecchie gronde per far defluire gli scarichi e convogliarli verso la fitta rete di canali.

L’Operazione Maremma è un successo su tutti i fronti. L’acqua del tetto sgorga via verso nuovi orizzonti e il cortile assume nuovamente sembianze terrestri. In cantina, grazie anche a un provvidenziale calo della pioggia, le infiltrazioni diminuiscono fino a cessare del tutto. Finalmente ci possiamo rilassare, ma un pensiero fastidioso ci assilla. Per ora siamo al sicuro, ma cosa succederà se, com’è probabile visto il tempo matto che ormai affligge questo pianeta, dovessero arrivare altri nubifragi? E se dovesse andar via la corrente, come faremmo senza pompa? I “se” sono talmente tanti che c’è un solo modo per zittirli tutti: passare all’azione. E allora, tanto per non restare con le mani in mano, con la sigla di MacGyver in sottofondo e utilizzando la nostra scorta di listelli avanzati e tappi di sughero, passeremo il pomeriggio a progettare e costruire una barchetta. Anzi: un’arca. Tante volte nei prossimi giorni ci tornasse utile per traghettare al sicuro cani, gatti, koala e galline.

2 commenti
  1. Mario
    Mario dice:

    Vi posso consigliare un acquisto indispensabile per scavare rogge e canali per bene. Anche dal ferramenta.. Ciao

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