Un incontro eccezionale

Fortuna, sfortuna: gli eventi che determinano il nostro destino sono così intrecciati tra loro, così interconnessi, che è spesso difficile stabilire dove finisca l’una e cominci l’altra. Il caso poi non conosce mezze misure, oscilla tra alti e bassi con una frequenza e un’ampiezza d’onda impossibili da prevedere (come l’umore del sottoscritto).

Questa storia inizia male, molto male. Ieri mattina una delle nostre galline è rimasta vittima dell’attacco di un rapace. Lisa, una livornese imprudente e indisciplinata arrivata alcuni mesi fa insieme a Monna (la gemella ubbidiente), da un po’ di tempo aveva preso la cattiva abitudine di saltare la recinzione e allontanarsi pochi metri in cerca di chissà cosa. I nostri tentativi di mettere un freno alle evasioni non sono bastati e ieri la testarda si è spinta più in là del solito, lontana da Virgola e dalla sicurezza che speravamo di offrirle. Risultato: l’abbiamo ritrovata riversa su un prato, il corpo a brandelli e piume bianche sparse tutt’intorno. Del predatore alato, ovviamente, nessuna traccia.

Lasciarla lì era fuori discussione: assicurare pasti facili nei pressi di un pollaio è come appendere un’insegna con su scritto “tavola calda”. Abbiamo scelto di organizzare una sorta di “sepoltura celeste”, l’antico rito funerario tibetano che offre la carne dei morti al ciclo della vita. Vale a dire, nel nostro caso, portare il corpo nel bosco e lasciare che la natura faccia il suo corso. Già che c’eravamo (troppo curiosi per non farlo), abbiamo piazzato la fototrappola per vedere cosa sarebbe successo. Eravamo quasi certi di assistere a una scena già vista: la volpe arriva, annusa la carcassa, l’afferra con i denti e se la porta via. Ma stavolta non è andata così.

A palesarsi sono state altre creature: una faina/martora, un paio di topolini, un grosso cinghiale dall’aria indifferente e, dulcis in fundo, nel cuore della notte, si è avvicinato con passo felpato e sguardo sornione un animale estremamente schivo e difficilissimo da avvistare (e della cui presenza in quest’area, per dirla tutta, non eravamo nemmeno certi): un Felis silvestris, il quasi leggendario gatto selvatico.

La malasorte che si tramuta in un clamoroso colpo di fortuna, insomma. Peccato che le dodici batterie della fototrappola abbiano deciso di scaricarsi proprio in quel momento, ribaltando ancora una volta il bilancio del caso (la sfiga, è evidente, ci vede benissimo anche al buio). Qualcosa comunque si è salvato: una manciata di brevissimi video da cui è stato possibile ricavare, se non altro, dei fotogrammi per documentare l’avvistamento. Immagini di scarsa qualità ma di forte suggestione, che raccontano quella che per noi, nel bene e nel male, è stata una grandissima emozione.

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