Un amore nel bosco

C’è un bosco di giovani larici, non lontano dalla nostra borgata, che in certi periodi dell’anno ospita una festosa brigata di uccelli di ogni forma e colore. Cince, pettirossi, zigoli, crocieri e tanti altri formano una variopinta e cinguettante combriccola sempre in movimento. Si spostano in massa da una zona del bosco all’altra, guidati da chissà quale istinto, per becchettare i giovani germogli sui rami nodosi e lanciare i loro squillanti richiami dalla cima delle conifere. Ascoltarli e vederli svolazzare è un tuffo nella spensieratezza, un momento di armonia per la mente e per il cuore. Eppure, difficile a credersi, la loro non è un’esistenza semplice e beata come potrebbe sembrare. Persino in quel mondo fiabesco esistono problemi, rivalità e incomprensioni. A ben vedere, ogni gruppo sociale, di qualunque specie animale, vive di tensioni che, come una coperta troppo corta che lascia sempre al freddo una parte del corpo, a qualcuno, prima o poi, finiscono per procurare dolore. E spesso, troppo spesso, a farne le spese sono le minoranze, i deboli o tutti quelli che, per una ragione o per l’altra, vengono definiti «diversi».

La nostra storia inizia un mattino di primavera, quando una giovane cinciarella, solitamente allegra e piena di vita, dopo giorni di uno sconosciuto e ambiguo malessere capì infine quale fosse la causa dei suoi tormenti. Si era innamorata. Già di per sé, la cosa non sarebbe stata facile da affrontare che, si sa, i primi amori sono mattoni duri da mandare giù. Ma ciò che confondeva la nostra minuta passeriforme, gettandola letteralmente nel panico, era l’oggetto stesso dei suoi sentimenti. Senza poter fare niente per evitarlo, si era innamorata di una cinciallegra. Era semplicemente successo, da un giorno all’altro, e neanche lei ne capiva il motivo. E sfido io, esiste forse qualcuno, in tutto il mondo, capace di spiegare perché nasce un amore? Perché proprio quello e non un altro qualsiasi? Che poi, a dirla tutta, cinciarella e cinciallegra sono due specie distinte, vero, ma estremamente simili tra loro. Condividono gli stessi ambienti vivendo a stretto contatto, e si rassomigliano molto nell’aspetto fisico. Entrambe hanno il petto giallo e le parti superiori sfumate dal verde al bluastro, con un ampio collare e un cappuccio sulla testa, azzurri nelle prime e neri nelle seconde. Le cinciarelle indossano con classe una raffinata mascherina oculare che spicca sul bianco del capo, mentre nelle cinciallegre, dallo stile più classico, il copricapo nero veste tutta la fronte fino agli occhi, lasciando scoperta soltanto la gola. Ma vi sembrano forse, queste, differenze così marcate da impedire infatuazioni promiscue? E, se anche a detta di qualcuno lo fossero, come negare un amore che di fatto esiste, c’è, si può toccare con mano e sentire vibrare nell’aria? Eppure, chissà perché, non tutti sull’argomento la pensano allo stesso modo, e l’unione di due individui di specie diversa era argomento tabù nel clan degli uccelli del bosco. La giovane innamorata questo lo sapeva bene. E conosceva il destino cui andava incontro chi osava ribellarsi a certe regole non scritte, ma ben radicate in alcune anime piccole e contorte, capaci di infettare l’intera nazione con il morbo della loro malignità. Conosceva le storie come venivano raccontate dai vecchi bigotti, storie di amori sordidi e incestuosi, di malelingue e peccato, storie amare che scorrevano tutte nella direzione del dolore e dell’emarginazione. La giovane cincia passò così giorni terribili, pieni d’angoscia, chiedendosi cosa ci fosse di sbagliato in lei e perché non poteva essere come tutte le altre della sua specie. Eppure, ogni volta che la sua bella cinciallegra le svolazzava davanti, leggera come una piuma, non poteva fare a meno di seguirne incantata i movimenti, con gli occhi spalancati e il becco aperto a mezz’aria. Pur non potendo, per forza di cose, rinnegare il suo amore, tuttavia non aveva il coraggio di parlarne con nessuno, e questo non la aiutava certo a superare il disagio. Chiusa in sé stessa, finì per lasciarsi avvolgere dallo sconforto e da una sensazione dilaniante di inadeguatezza. Mentre se ne stava sempre più spesso da sola, a fare i conti con la propria inquietudine, amici e amiche sembravano non accorgersi di niente, presi com’erano ciascuno dalle proprie sfrenate tresche primaverili. Poi, un pomeriggio, mentre la triste spasimante se ne stava mogia mogia su un ramo basso, fissando senza interesse una lunga fila di formiche che arrancavano tra l’erba senza neanche avere voglia di mangiarle, successe qualcosa che non aveva nemmeno osato sperare. L’amabile cinciallegra, croce e delizia del suo cuore, si materializzò come per incanto al suo fianco, atterrando sul ramo con la grazia di una farfalla. La nostra timida cinciarella balbettò un saluto, con il cuoricino che le batteva forte nel petto, e quasi cadde dal ramo per l’emozione, cosa che fece ridere l’amica e tutto sommato servì a rompere il ghiaccio. Inutile farla troppo lunga, perché a questo punto avrete già capito come prosegue la storia. Contro ogni previsione, la cinciallegra manifestò di corrispondere l’improbabile sogno d’amore. A differenza della cinciarella, aveva un carette risoluto e ribelle, e un’apertura mentale che non le faceva temere il giudizio degli altri. Espose all’altra le sue idee di libertà ed emancipazione, convincendola che non c’era nulla di sbagliato nei loro sentimenti e aiutandola con dolcezza a risolvere le sue paure. Fu così che le due iniziarono a vedersi di nascosto, divenendo amanti. E quando si trovavano sole, nella tiepida morbidezza di un vecchio nido abbandonato o tra le foglie di un acero appartato, non riuscivano a reprimere quel fuoco rovente che le divorava da dentro, godendo di quella passione che solo chi ha avuto la fortuna di vivere un amore clandestino può conoscere. Allora, finalmente libere, si lasciavano andare senza più timore, soffocando a stento nel petto cinguettii traditori nella foga di quel desiderio acerbo, sperimentando con eccitazione una felicità sconosciuta e profonda. Le due amanti si accorsero presto di non poter più fare a meno l’una dell’altra. I loro incontri segreti si fecero più frequenti, fino al punto in cui, inevitabilmente, qualcuno notò le ripetute assenze. Le malelingue, puntuali e scrupolose come tutte le cose cattive, iniziarono a circolare nella grande famiglia degli uccelli del bosco. Le due compagne, quando singolarmente prendevano parte alle danze acrobatiche dello stormo, iniziarono a notare le occhiatacce rancorose che gli lanciavano certi bulletti rozzi e ignoranti, tutto muscoli e poco cervello, conosciuti nella tribù soprattutto per il loro accentuato bipolarismo comportamentale: arroganti coi più deboli, zerbini coi potenti. La nostra cinciarella, più sensibile a certe manifestazioni di intolleranza, soffrì in modo particolare per le attenzioni non richieste. Soprattutto, al di là dell’incapacità dei miseri individui di cui sopra di tenere per se stessi la propria stupidità, ciò che maggiormente la ferì furono gli atteggiamenti di malcelato imbarazzo che notò in alcuni amici di vecchia data. Col passare dei giorni la situazione intorno alle due si fece sempre più tesa, finché l’aria intorno, perso il magico profumo della passione, finì per assumere un triste sapore di esclusione e rifiuto. La cinciarella precipitò allora in uno stato di paura mista a depressione, e vederla in quello stato faceva male agli occhi. Fu soprattutto per questo che una mattina, stanca di veder soffrire la sua amata, l’intraprendente cinciallegra decise di metter fine, in modo drastico e una volta per tutte, a quella stupida farsa. Ancora prima dell’alba, quando il bosco era immerso in un silenzio carico di attesa, la cinciallegra volò sulla cima di un larice alto e sottile che svettava sugli altri alberi come un campanile. Guardò il mondo ai suoi piedi addormentato nel buio, trattenendo il respiro e tremando come una foglia. Il primo raggio di sole scavalcò le montagne a est e le diede finalmente il coraggio che stava cercando. Si schiarì la gola e, con tutto il fiato che aveva in corpo, cinguettò a lungo, senza mai fermarsi, l’amore inconfessato e tormentato che si portava dentro. Quando finì, uno strano silenzio avvolse nuovamente la valle. La piccola cincia rabbrividì mentre un soffio di aria fredda le accarezzava le ali, o forse era la paura che le stava gelando il cuore. Nonostante questo, coraggiosa come un leone, continuava a voltarsi a destra e a sinistra, lo sguardo fiero e il becco all’insù, come a sfidare chiunque avesse avuto da ridire. Poi, improvvisamente, un frullare d’ali ruppe il silenzio. Un minuscolo codibugnolo volò sulla cima di un albero, poco distante da lei, le bianche piume arruffate dalla rugiada mattutina. Agitando nervosamente la lunga coda, l’uccellino guardò in direzione della cinciallegra, fissandola per alcuni secondi senza emettere suono. Infine si voltò, alzò il capo al cielo e spalancando il beccuccio triangolare riversò nell’aria un armonioso torrente di note squillanti. Fu un canto straziante, trattenuto in gola per chissà quanto tempo, che rivelò al mondo un’altra insolita, appassionata storia d’amore che da mesi resisteva nell’ombra e nella paura: quella del tenero codibugnolo con uno scricciolo solitario. Il piccoletto non fece neanche in tempo a terminare la sua ardente orazione che un raffinato pettirosso, salito sulla punta di un peccio, con fare cerimonioso e solenne cantò il suo amore per un codirosso, impreziosendo il racconto, a dispetto dell’atteggiamento serioso, con rime e giochi di parole che ben si prestavano visti i nomi delle due specie. Non appena anche lui ebbe concluso il suo intervento, in lontananza si udì un merlo dare notizia fischiando della sua sconveniente attrazione per un picchio rosso, il quale espresse il suo apprezzamento tamburellando forte sul tronco di un frassino. A seguire fu la volta di un’inconsolabile cincia dal ciuffo che, tra le lacrime, rese pubblico il suo tormentato desiderio per una cincia alpestre, storia questa ancora più triste perché si trattava di un amore non corrisposto. E dopo di loro, inarrestabili come un fiume in piena che ha scavalcato gli argini, vennero ancora tanti altri racconti: tristi e felici, corrisposti e non, alcuni palesi e già noti ai più, altri al contrario decisamente insospettabili. Tante storie furono udite da tutti, accomunate dal filo conduttore di una passione non convenzionale: dall’avventura concitata di un regolo e un rampichino, alla favola deliziosamente romantica di una cornacchia e una giovane poiana. La sarabanda si concluse soltanto a metà mattinata, quando un vispo crociere, evidentemente innamorato di un’appariscente ghiandaia, approfittò della situazione per cinguettarle una serenata. E la cosa non si esaurì quel giorno, perché nelle settimane successive tanti altri abitanti della foresta fecero lo stesso, rivelando al mondo i loro amori proibiti, tenuti segreti per troppo tempo. Si seppe allora, con sconcerto di pochi e gioia di molti, di caprioli che amavano camosci, di martore e faine fuggite insieme per coronare il loro sogno d’amore, e persino la storia straziante di un lupo che tanto tempo prima si era invaghito di una bellissima cerva. Nel bosco di giovani larici, da allora in avanti, squarciato ormai il velo dell’ipocrisia, di fronte alla realtà innegabile dei fatti anche i più duri e convinti conservatori dovettero ingoiare il rospo e accettare la verità nuda e cruda, vale a dire che l’amore è bello sempre e comunque, e sempre e comunque va rispettato e incoraggiato. Mentre l’odio e l’intolleranza, quelli si, sono i veri nemici della felicità.

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