Tutto l’entusiasmo di Silvia e Matteo

Anche se un po’ in ritardo (ci siamo presi anche noi qualche giorno di vacanza, evento più unico che raro!) ci tenevo a raccontarvi la bellissima avventura di metà luglio in terra ligure, e l’incontro con una famiglia a dir poco speciale.

C’è solo un problema: da dove iniziare? Non basterebbe un libro a contenere la storia di Silvia e Matteo, il loro l’entusiasmo, l’energia, la forza di volontà e il coraggio con cui, a dispetto di mille difficoltà, portano avanti una delle esperienze di ripopolamento e ritorno alla natura più autentiche e “complete” con cui sia mai entrato in contatto.

Per darvi un’idea di cosa intendo, comincerò elencando alla rinfusa una serie di cose – prodotti, attività, persone, animali – che sono parte integrante di questa storia: Anna e Luca, due vivaci montanari di quattro e sette anni (già, pare proprio che in montagna possano viverci anche i bambini); nonno Sergio, sempre pronto a sorridere e a farsi in quattro per aiutare; una manciata di capre saanen, camosciate delle Alpi e pecore brigasche; un cagnolino breton di nome Pepe, due dolcissime mucche cabannine e poi asini, latte, formaggi, api, miele, fieno, olio d’oliva; e ancora la fattoria didattica con i più piccoli, l’impegno sociale a fianco dei meno fortunati, un asilo di montagna da tenere vivo, gli eventi culturali e divulgativi, le escursioni guidate nei boschi, la ristorazione, l’agriturismo, il cibo fatto in casa, le marmellate, i biscotti, i vigneti, la vendemmia, il vino, le coltivazioni, la gestione del bosco, la cura costante e la valorizzazione del territorio, il risanamento di vecchi ruderi, la manutenzione delle strade, il recupero e la reintroduzione di specie antiche animali e vegetali, il riutilizzo di vecchi strumenti.

Che ci crediate o no, questo è l’elenco (sicuramente incompleto) di tutto ciò che una famiglia è in grado di portare avanti con consapevolezza, generosità, amore e rispetto per il prossimo e per l’ambiente che la ospita, a distanza di pochi anni dalla nascita di un progetto di vita in montagna gestito sempre e solo con le proprie forze, partendo da zero in un territorio difficile come quello dell’alta Valle Argentina, caratterizzato da abbandono e da una gestione complessa delle ricchezze naturali e faunistiche, da terreni estremamente ripidi e terrazzamenti che rendono spesso impossibile l’uso di macchinari.

Ho passato con queste persone incredibili tre giorni memorabili, vissuti a ritmo serrato per organizzare una serata che, al di là di ogni aspettativa, è riuscita a portare oltre cento persone in un posto così sperduto da non comparire nemmeno su Google Maps. Segno che la vita in montagna, se raccontata con passione ed esempi concreti, interessa eccome. Insieme ad alcuni amici, circondati da bambini e dalla speranza che rappresentano i loro giochi per il futuro di queste terre, tra una gita in montagna e una visita a Giuanin, pastore di ottantaquattro anni e personaggio leggendario, abbiamo preparato cibo per un esercito, pelato chili e chili di patate, sventato gli attacchi delle api che non gradivano la mia indiscreta presenza (come biasimarle), falciato strette lingue di prato recuperando le rotoballe utilizzate poi per costruire un anfiteatro naturale con panorama mozzafiato sul mare di Taggia, infornato tonnellate di sardenaira e altre prelibatezze locali.

La serata, in compagnia del fotografo Andrea Biondo e di tanti appassionati di montagna (tra cui i giornalisti di Sanremo News Stefano Michero e Silvia Iuliano, che ringrazio per le foto e per il servizio con tanto di video e interviste) è stata piacevole e costruttiva, a dispetto dei timori di non riuscire a sfamare tutti e nonostante la mia strategia a base di vino per affrontare un pubblico così numeroso abbia rischiato di sfuggirmi di mano. Eppure, se devo essere sincero, le emozioni più grandi me le hanno relegate proprio i giorni dei preparativi, i momenti condivisi sentendomi a casa, l’allegria dei bambini, le gigantesche focacce di Matteo cotte nel forno a legna, i camosci avvistati sul Saccarello, le punture delle api, le coccole di Pepe, gli sguardi curiosi delle caprette, i racconti del pastore Giuanin mentre quasi commosso lo guardavo mungere cullato dallo scampanellio del suo gregge, con il tramonto sullo sfondo che incendiava le rocce e il mare in lontananza che si faceva blu scuro fino a fondersi col cielo.

 

A ripensarci ora, sembra anche a me di aver vissuto un sogno. Ma vi posso giurare che questa storia è tutto tranne che una favola. Non c’è modo più concreto di vivere la vita che affrontare la quotidianità come fanno quassù Silvia e Matteo. Con lo sguardo sempre vigile sul mondo che li circonda e un occhio libero di guardare altrove, con la fantasia di chi è in grado di immaginare e il pragmatismo necessario per costruire. Senza smettere di sognare insomma, ma restando ben piantati con i piedi per terra.

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