La mia esperienza con il Covid

Alla fine mi trovo costretto anch’io a parlare del virus. Lo faccio mio malgrado con una certa consapevolezza, dopo averci fatto a cazzotti per tre settimane. È stata un’esperienza dura, soprattutto perché vissuta in totale isolamento, e solo oggi – a 25 giorni dalle prime avvisaglie, al nono giorno di terapia cortisonica e dopo cinque giorni senza più sintomi (se si esclude uno strascico di indolenzimento bronco-polmonare) – trovo il coraggio di parlarne apertamente e di dire, in primo luogo a me stesso, che forse l’incubo è passato davvero.

Se la prima fase l’avevo vissuta senza grosse preoccupazioni, lo shock per la ricaduta è stato invece piuttosto forte. Tutt’intorno a me la neve continuava a scendere copiosa, ogni cosa dormiva in silenzio sotto mezzo metro abbondante di coltre bianca; volpi, cervi e caprioli lasciavano tracce del loro passaggio a tre metri da casa. Un paesaggio che normalmente avrei amato più di ogni altra cosa al mondo, ma che in quei giorni proprio non riuscivo a godermi, vuoi perché accentuava un senso di isolamento che iniziava a farsi opprimente (dai primissimi sintomi avevo invitato chiunque a tenersi alla larga), vuoi per una sottile e strisciante preoccupazione che se le mie condizioni fossero peggiorate non sarebbe stato facile tirarmi fuori di lì.
La foto che vedete l’ho scattata in quei giorni e trasmette bene lo stato di allucinazione mio e di Nana, l’affettuosissima gattina che – almeno lei! – non ha mai smesso di tenermi compagnia (è grazie alla piccola Nana se non ho perso del tutto la testa, l’ennesima conferma di come gli animali siano spesso, in tanti modi diversi, la nostra salvezza).

Nei giorni seguenti mi sono sforzato di mantenere la calma, concentrandomi nel lavoro di scrittura quando le mie condizioni me lo permettevano, leggendo molto, ascoltando musica, guardando film e imponendomi totale riposo anche nei momenti – sempre più rari – in cui mi sentivo un po’ meglio. Ho cercato in tutti i modi di evitare l’aria fredda che percepivo chiaramente come un nemico quando mi penetrava nei polmoni, cosa del resto molto complicata se fuori fa meno dieci e tu devi uscire a prendere legna per scaldarti ogni due o tre ore!
Nonostante il riposo forzato, però, le mie condizioni non miglioravano, anzi, intuivo piuttosto un lento e progressivo logoramento dovuto anche, con tutta probabilità, a un peggioramento del mio stato mentale.

Il vero errore a quel punto è stato cominciare a cercare informazioni online, nella speranza di trovare elementi di conforto che potessero tranquillizzarmi circa quel decorso così lungo e invadente. Non l’avessi mai fatto! Pur consultando solo siti medici ufficiali, le informazioni che venivano fuori erano estremamente confuse, contraddittorie e spesso allarmanti. E alla fine mi hanno “tranquillizzato” fin troppo sulla durata del travaglio: se quello che cercavo era la conferma che fosse normale star male due settimane, ho finito per convincermi che per uscirne ci sarebbero voluti mesi!
Tutto questo se non altro ha rappresentato una scossa dolorosa che mi ha spinto a una seconda azione, decisamente più saggia della prima: mi sono finalmente deciso a parlare con un medico (no, non l’avevo ancora fatto e sì, lo so, sono un testone). Dopo un paio di giorni mi è stata prescritta la terapia standard a base di cortisone e integratori, e i miei vicini (“vicini” per modo di dire) si sono immediatamente attivati per procurarmeli.
Per farla breve, la cura ha iniziato a fare effetto nell’arco di poche ore: i sintomi nel giro di due o tre giorni sono praticamente spariti e anche le forze sono tornate rapidamente. La paura invece no, ci ha messo molto di più ad andar via (e non è ancora svanita del tutto).

Anche se non ho mai avuto sintomi preoccupanti, è stata la situazione nel suo complesso – la mia condizione nello specifico, isolato in alta montagna, e quella generale, con il virus che ormai da mesi rosicchia la psiche di tutti – a risultare molto pesante da digerire. Non mi mancavano più solo la salute e il contatto umano, mi mancava in modo doloroso e viscerale ogni cosa della vita normale, ogni banalissimo elemento della quotidianità, da uno scambio di sorrisi al semplice gesto di entrare al negozio di alimentari e cercare tra gli scaffali i miei prodotti preferiti (cosa che tra l’altro faccio sì e no una volta al mese, ma che, per qualche ragione, era diventato un pensiero assillante).
Come aggravante personale, continuavo a flagellarmi per il modo in cui ero stato contagiato, avendo chiarissimo il momento in cui ciò era avvenuto. Pur non avendo mai sottovalutato il problema covid (tutt’altro), ho stupidamente affrontato una situazione che sapevo essere ad alto rischio con troppa superficialità e sicumera. Questo punto della mia esperienza è quello che vorrei sottolineare, perché spero possa servire ad altri per evitare i miei stessi errori: la facilità di contagio, per quanto ho potuto constatare sulla mia pelle, è davvero estrema come dicono, superiore a quella che, pur dando credito alle raccomandazioni ricevute, possiamo razionalmente concepire. Basta insomma un contatto ravvicinato anche minimo, anche velocissimo, e rischi di fregarti (o di fregare qualcun altro).
Di conseguenza, credo sia logico e opportuno prendere tutte le precauzioni possibili, a cominciare dalla mascherina da indossare sempre e comunque, a prescindere dai dubbi che possiamo avere circa la sua efficacia (lo so, questo ce lo ripetono anche i muri, ma da quello che vedo in giro le orecchie di molti sono assai più dure dei muri).

Ecco, questo in sintesi è il racconto del mio incontro-scontro con SARS-CoV-2 e di come il virus mi abbia fisicamente e mentalmente steso in ben pochi round. Lungi da me voler fare terrorismo: chi mi conosce e segue questa pagina sa bene come sia improntata all’ottimismo e come sull’argomento psicosi, nei mesi passati, io abbia sempre cercato di sdrammatizzare. Ho scritto queste righe di getto, dopo l’ennesima notte in bianco e cacciando fuori non poche lacrime di sfogo, semplicemente perché dopo questa brutta esperienza sento il bisogno di unire la mia voce al coro di quelli che raccomandano prudenza.
Prudenza per noi stessi e per chi abbiamo intorno, a cominciare dalle persone a cui vogliamo più bene. Soprattutto ora dunque, in previsione delle feste: se possibile, godiamoci amici e parenti attraverso un abbraccio virtuale, e rimandiamo gli abbracci veri a quando potremo scambiarli con la certezza di trasmetterci solamente amore.

Al ritmo delle stagioni
Media voto:  
 0 recensioni
Contatti / alritmodellestagioni@gmail.com