Negli occhi di una cerva

Tendiamo un po’ tutti, e noi per primi, a una visione sentimentale e idealizzata della natura. La immaginiamo come un giardino incantato, uno spazio di libertà. Ma ogni tanto qualcosa ci aiuta a ricordare come stanno le cose.

Lei è una giovane cerva. Poco dopo il tramonto, si avventura sui prati, fuori dal riparo del bosco, in cerca di cibo. Approfitta dell’oscurità e dei momenti del giorno in cui cambia la luce, quando la visibilità è più scarsa. Non può mai smettere di cercare cibo. E non può smettere, mai, di guardarsi intorno. La sua natura di preda le impone un’esistenza scandita da istanti in cui deve difendersi. Dal freddo, dalla fame, dai lupi, dai cacciatori, dalle malattie.

È visibilmente stanca, è sola e incerta. Spaventosamente magra, quasi scheletrica, dopo le privazioni del lungo inverno. Un filo d’erba sottile le pende dalla bocca, erba secca che non dà nutrimento. La nostra presenza la mette in allarme, ma non fugge. Come se le mancassero le forze anche solo per avere paura. I suoi occhi scavati esprimono qualcos’altro. Rassegnazione forse. Tutt’intorno, i rovi sembrano ghermirla, intrappolandola in un deserto di patimenti.

Ma nonostante tutto, lei è lì, ancora più bella e sensuale mentre sopporta e sostiene da sola il peso del mondo. Accetta la sua natura, e continuerà a lottare, ogni giorno, solo per restare viva. Il suo sguardo, la sua postura, evocano tra i miei ricordi immagini di martiri e santi. Se fossi uno scultore, sarebbe lei la modella che vorrei ritrarre per rappresentare il senso profondo della natura, della vita. Per esprimere il mistero di tanta bellezza racchiusa in ciò che, in fondo, non è altro che sofferenza. La natura è bella anche per questo. Forse, è bella proprio per questo. Perché riesce a evocare, con un semplice sguardo, il senso di tutte le cose.

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