L’inverno, la vita dormiente degli animali e la potenza del nostro naso

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Gennaio non è un mese fortunato per fotografare animali selvatici in montagna. Poca luce, colori smorti, paesaggi spenti e difficili da valorizzare. È complicato muoversi per via del ghiaccio e quasi impossibile avvicinarsi senza farsi vedere e sentire dai pochi animali che affrontano le basse temperature per spiluccare miseri pasti dai residui di vegetazione.

Se nonostante tutto hai una gran voglia di scattare foto può essere frustrante andarsene in giro così per ore, un po’ alla cieca, sopportando temperature che raramente raggiungono lo zero, sperando al più in un incontro casuale e sfuggente.

Cervi e caprioli si vedono poco e in questo periodo dell’anno sembrano più apprensivi e guardinghi che mai, innervositi dalla mancanza di cibo e dalla scarsità di ripari, solitamente garantiti dall’abbondante vegetazione. Per non parlare dei cacciatori, che per tutto l’autunno e i primi mesi invernali hanno contribuito non poco a seminare il panico tra le popolazioni di ungulati.

Le volpi non sono particolarmente interessate a gironzolare, vista la penuria di prede in circolazione. In compenso le vediamo spesso affacciarsi dal prato innevato che domina la borgata, con bella vista dall’alto sulle nostre galline che, in queste giornate di sole, hanno ripreso ad avventurarsi nei prati intorno a casa. Forse è anche per questo che, ultimamente, il gallo Artiglio appare così scontroso, pronto a scagliarsi contro chiunque si avvicini alle sue adorate concubine. Speriamo bene. O addio frittate e tiramisù.

Uccelli anche, in questo periodo, se ne vedono pochi, pochissimi. Qualche picchio in lontananza, ogni tanto un gigantesco corvo imperiale o un minuscolo scricciolo, oltre agli immancabili sordoni, consueti e paffuti visitatori invernali in cerca di ristoro. Anche loro però, vista la scarsità di neve, non sono scesi in massa come altre volte dalle cime dove vivono per gran parte dell’anno.

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Le lepri sono i soliti fantasmi, più che mai ora che la loro pelliccia è diventata bianca come un lenzuolo. Le marmotte se ne stanno ben protette al caldo di labirintiche città sotterranee, chilometrici complessi di cunicoli e gallerie, e non ci pensano proprio a mettere il naso fuori. Non pervenuti, ovviamente, neanche rettili e anfibi, animali a sangue freddo che non sopravviverebbero alle temperature invernali.

L’unica «attrazione» del momento sono i camosci, che lasciano le pareti in quota per approfittare di quel poco che possono offrire i pascoli più a valle. Una breve vacanza, ma anche una pacifica invasione nei territori di cervi e caprioli, che per fortuna non sembrano farne un dramma. Finalmente è possibile osservare più da vicino questi splendidi animali, mentre brucano pigramente qualche arbusto rinsecchito o rovistano tra le rocce in cerca di muschi e licheni. Quando ti fissano, con quel muso così particolare, sembra di guardare la maschera tribale di qualche remota popolazione indigena.

Peccato che nei paraggi c’è sempre l’immancabile e paranoico capriolo, che con le sue enormi ed infallibili orecchie-radar è capace di intercettare il più impercettibile scricchiolio di foglia secca sotto la scarpa, dando immediatamente l’allarme e scatenando una scomposta fuga generale.

Lui, del resto, ha ottime ragioni per essere preoccupato, visto che figura come specialità della casa nel menù dei lupi (e, purtroppo, in quello di molti ristoranti «umani»), come dimostrato dai numerosi resti di banchetti che si trovano qua e là, con contorno di peli e ossa spolpate.

I lupi, proprio loro, i selvatici per eccellenza, ancora non ci hanno concesso l’onore di un incontro dal vivo e, dopo le due «catture» con la videotrappola dei mesi scorsi, si sono chiusi in un ostinato silenzio stampa, lasciando come traccia della loro appartata presenza soltanto lunghe file di orme nella neve (e qualche avanzo di capriolo). Saranno anche loro disgustati, come noi del resto, dai continui e pretestuosi attacchi ricevuti quasi ogni giorno da quotidiani e telegiornali, che invece di fare informazione come dovrebbero si accaniscono contro il più ovvio dei «nemici» per vendere improbabili notizie create a tavolino, dipingendo i lupi come bestie sanguinarie e macinando senza ritegno i più tristi e inverosimili luoghi comuni.

Il lato positivo (a ben guardare, ce n’è sempre uno) è che la terra si sta già preparando al grande risveglio. Le giornate si allungano allontanando le ombre. Il freddo, almeno per il momento, ha allentato la sua morsa e la terra inizia faticosamente a prendere coscienza della possibilità di liberarsi dal gelo che la artiglia implacabile da settimane. Così oggi, per la prima volta, in un mondo a prima vista ancora grigio e spento, nell’aria siamo riusciti a cogliere deboli scie odorose, promesse di piaceri neanche troppo lontani: il profumo della terra bagnata, quello della corteccia dei larici e dell’erba secca.

È stato bello cogliere questo piccolo segnale di cambiamento grazie a quello tra i cinque sensi che normalmente usiamo meno, l’olfatto, raffinato strumento di degustazione riservato agli intenditori, alleato fondamentale per apprezzare le sfumature più nascoste del mondo naturale. A ben vedere è proprio il nostro naso che, più di ogni altra cosa, riesce a metterci in contatto con i ritmi della terra, suscitando emozioni potenti ed evocando in noi ricordi profondi, sepolti in una dimensione primordiale e istintiva delle nostre coscienze, retaggio ancestrale di una passato selvatico impossibile da cancellare del tutto. Con buona pace della vista, in attesa che la primavera regali ai nostri occhi una nuova esplosione di vita e di colori sulle montagne.

Contatti / alritmodellestagioni@gmail.com